Di solito due sono le risposte più frequenti: il rientro al lavoro dei genitori e l’esigenza dei bambini di poter condividere un tempo e uno spazio con altri bambini. Due motivazioni molto diverse tra loro, a volte si integrano.
Oltre alla spiegazione razionale della scelta del nido, qualunque essa sia, dobbiamo sempre tenere conto del vissuto emotivo che questa scelta comporta. Non dobbiamo sottovalutare che portare il bimbo al nido equivale spesso alla prima separazione e il primo ingresso del piccolo in un ambiente diverso da quello della famiglia, che ha regole e tempi diversi e che necessita di un certo grado di adattamento. Incontrare le educatrici e gli altri compagni non è mai semplice; anche quando nel bimbo si vede l’esigenza di incontrare nuovi amici, è sempre una bella sfida educativa. Allo stesso modo è una sfida per i genitori. Se il bambino impara giorno per giorno ad essere tale, lo fanno anche i genitori.
Tornare al lavoro dopo la maternità è sempre difficile, i colleghi a volte sono cambiati, il lavoro si è modificato, bisogna “riprendere il ritmo” e adattarsi a nuovi scenari. Da parte sua il bambino si domanda, a qualsiasi età, dove sia finita la mamma e che cosa abbia da fare di così importante da lasciarlo al nido. Mamma e bambino si trovano così insieme in uno sforzo di adattamento, cercando nuovi equilibri. I papà non sono esclusi da questo nuovo riassetto familiare, spesso non hanno smesso di lavorare, purtroppo il congedo parentale nel nostro paese è ancora troppo limitato, ma non è sempre facile destreggiarsi fra bambino e compagna di vita in un momento di crisi.
Allo stesso tempo, se si sceglie il nido consapevoli che il proprio figlio ha bisogno di un tempo con altri bambini, se si è notato che cerca favorevolmente la compagnia di amici della stessa età o se risulta insofferente a casa, per quanto la buona volontà sia presente in tutta la famiglia, anche questo scenario non è scevro da emozioni contrastanti.
Nonni e genitori possono sentirsi minacciati nel proprio ruolo, balzando in mente domande come: ”adesso che va al nido io cosa farò?” oppure ci si vede ingarbugliati in mille progetti, per occupare nel miglior modo il tempo in cui il bimbo è al nido tra spesa, commissioni, tempo per sé, sport e quant’altro, per poi, nella realtà, non riuscire a portare a compimento un obiettivo.
Fondamentale, quando si sceglie un nido e si accompagna il bambino nell’inserimento, è cercare di non sopprimere i propri sentimenti contrastanti. Nell’ingresso al nido vale qualsiasi pensiero, qualsiasi sentimento, colpa, frustrazione, perdita, abbandono, sollievo, preoccupazione, gioia e tutto quello che ad una persona possa venire in mente.
Solo se l’adulto si permette di provare un’ampia gamma di sentimenti, anche il bambino potrà accedervi.
Se non sopprimiamo dietro una finta maschera le nostre emozioni, se permettiamo loro di venire a galla, di espandersi, di prendersi il loro tempo e il loro spazio, solo in questo modo potremo viverle, permetterci di viverle e, allora, superarle. Più le opprimiamo, infatti, più ci faranno visita poiché è nella loro natura l’uscire a galla, mostrarsi affinché possiamo occuparci di loro, farle nostre, dare loro un nome.
È importante parlare di quello che sta avvedendo, con il bambino, con l’educatrice, con il proprio compagno, con i propri genitori, amici, con il vicino di casa, con chiunque ci sentiamo a nostro agio, affinché nelle pieghe delle parole possano prendere forma tutti i nostri sentimenti e vissuti, potendoli maneggiare.
Questo è l’aiuto più prezioso che possiamo donare ai nostri figli quando li accompagniamo al nido, senza far finta che vada tutto bene.
Solo se viviamo, se permettiamo a ciò che sentiamo di poter avere un proprio canale di uscita, allora possiamo accogliere meglio il pianto del bambino e ancora meglio i vissuti del bambino stesso, senza mischiarli troppo con i nostri.
Lasciarci uno spazio, da adulti, per vivere i propri sentimenti permette di liberare un ulteriore spazio perché il bambino possa metterci i propri e possa viverli nel proprio modo così, nella relazione, crescere entrambi, come bambini e come genitori, in fin dei conti come esseri umani.
di Valentina Lozza
psicologa, coordinatrice Nido blu – via per Bresso 236, Cinisello Balsamo