Il bambino, già da feto, vive in un “bagno di  linguaggio” direbbe J. Lacan, psicoanalista francese che proprio dello studio del linguaggio ne fa una strada maestra per lo studio dell’essere umano. Se ci pensiamo, in effetti, il linguaggio distingue la nostra specie in modo specifico. Il feto vive in un ambiente che è già permeato dalle voci, dal linguaggio e costituisce un ambiente sonoro che riconosce. Una volta nato, pur non  comprendendo subito la correlazione fra parola e significato, è attratto dalla voce umana, soprattutto da quelle che già in feto lo accompagnavano: mamma, papà, parenti. È importante per i genitori, quindi, tenere vivo l’interesse del bambino per la voce umana e per il linguaggio, affinchè esso possa svilupparsi ed essere sostenuto. Non si tratta di fare esercizi o altro, semplicemente di porre attenzione al
proprio linguaggio, ancora una volta porre attenzione a noi come adulti.

Una cosa molto semplice che possiamo fare, fin da subito, è descrivere le nostre azioni quotidiane, mentre il bambino ci osserva. Per esempio, cosa facciamo al cambio del pannolino, mentre cuciniamo o puliamo, come una telecronaca. È fondamentale, inoltre, interagire con il bambino attraverso la parola, interpretare i suoi bisogni, per esempio i suoi mugugni, i suoi pianti. Non importa se l’interpretazione sia corretta oppure no, l’importante è restituire in parola ciò che il bambino vive e non può ancora esprimere, ad es. “hai fame / sete / sonno / sei arrabbiato”. Lacan direbbe: restituire un senso al bambino per introdurlo nella catena dei significanti, delle parole; Bion, altro sicoanalista, direbbe: fornire al bambino un pensiero a ciò che ancora non lo è, per aiutarlo a sua volta a pensare. In ogni caso, come la si voglia dire, è importante fornire al bambino, che ancora non conosce tutte le sfaccettature di quello che prova, delle coordinate.

Facciamo uno sforzo di immaginazione: pensate di essere in un villaggio  straniero di cui non conoscete la lingua. Improvvisamente avvertite in lontananza un pericolo, un rumore, non sapete bene di che cosa si tratti, ma sentite l’esigenza di comunicarlo a qualcuno del posto per farvi aiutare. Cominciate così, con i segni e con dei mugugni, a cercare di spiegare quello che avete intravisto.
Con molta calma e pazienza, alla fine, riuscite a intendervi e quello che avete visto non è nient’altro che il cane del villaggio, che non avevate visto precedentemente, ma è innocuo. Vi viene mostrato, lo conoscete e la paura svanisce. Avete compreso, conosciuto, associato il nome straniero all’animale, un suono qualsiasi che per voi non ha alcun significato a prescindere ma che ora acquista senso e ciò che vi faceva paura ora è un simpatico cagnolino, potete camminare tranquillamente sapendo che il cane è in giro, senza averne timore.
Ecco cosa può provare, forse, un bambino alle prese con un mondo tutto nuovo.
Se gli viene mostrato di cosa avere paura e di cosa non averne, se gli vengono dati dei suoni per nominare le cose del mondo, egli inizia ad avere delle coordinate in cui potersi muovere. Nominare il mondo ci permette di maneggiarlo, di comprenderlo. Ci sono altre accortezze da tenere a mente.
È stato dimostrato da diversi studi che il “motherese”, il linguaggio che spesso i genitori utilizzano in modo inconsapevole quando parlano con i bambini, ossia un linguaggio semplificato con un tono della voce più alto del normale, con diversi vezzeggiativi, può portare dei vantaggi nei primi mesi di vita, purchè non si protragga troppo. È importante, infatti, che al bambino si parli in modo spontaneo, cercando di utilizzare un linguaggio semplice, scandito, con pause, enfatizzato magari dai gesti, tuttavia naturale. È importante non avere un sottofondo di musica o tv accesa, per non distrarre il bambino e dargli troppi stimoli. Piuttosto dedicate un tempo e uno spazio all’ascolto attivo della musica e della televisione, senza eccedere in quest’ultima.
Diversi studi hanno dimostrato che il precoce accesso a tv, smartphone e tablet inibisce lo sviluppo del bambino, anche del linguaggio, invece che aumentarlo. Perché? Con la tv ascolta moltissime parole…. In quelle parole, però, non c’è nessuna relazione, nessuno che le rivolga proprio a quel bambino in modo particolare. L’essere umano è sì fatto di parole, ma di parole vive, che vengono da un altro essere umano in relazione con il bambino in carne ed ossa.
Ultimo consiglio: leggere! Scegliete libri adatti all’età del vostro bambino, ma soprattutto che vi piacciano!
È importante leggere almeno 10/15 minuti al giorno, in un tempo dedicato e con piacere di entrambi.

“Il linguaggio, prima di significare qualcosa, significa per qualcuno.”
JACQUES LACAN

 

di Valentina Lozza, psicologa, educatrice, coordinatrice

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